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I, I can remember (I remember)

Standing, by the wall (by the wall)

And the guns shot above our heads (over our heads)

And we kissed, as though nothing could fall (nothing could fall)

And the shame was on the other side

Oh we can beat them, for ever and ever

Then we could be Heroes, just for one day

David Bowie Heroes


Una immagine e pensieri di leggerezza, fiaba, vulnerabilità, affidati a palloncini sospesi su esili fili, accompagnano i primi attimi de La poésie de la résistance, spettacolo ideato, scritto, diretto da Jan Fabre, su ispirazione di Liberté di Paul Eluard e Indignez-vous! di Stéphane Hessel (Festival Fabre 2025-Teatro OutOff).

Disposti a diversa altezza e secondo una chiara visione geometrica, i palloncini, alcuni bianchi, altri trasparenti, veicolano anche un’idea di nitore e ordine rigoroso che, in uno spettacolo legato alla poésie, è segno di labor limae. Ma in certe scene, quella stessa disposizione spaziale si presta a essere letta diversamente: come metafora di schiere ordinate e disciplinate, di schiere di uomini in armi alle quali rispondere con la résistance.   

Da quinte opposte entrano in scena un uomo e una donna. Opposti appaiono, nella penombra, i loro corpi: nudo, insanguinato, il corpo dell’uomo; dentro un rigoroso tailleur, giacca e gonna nera, camicia bianca, il corpo della donna.

L’uomo incede con lentezza. I piedi sfiorano il suolo lievi ma, allo stesso tempo, cercano un contatto con la terra, esprimendo in tal modo il desiderio, e la necessità, di dare sostegno a un corpo ferito a morte. I piedi della donna, in décolleté neri con tacchi a spillo, muovono passi ugualmente lenti, ma in senso diverso. Mentre camminano, i due sono occhi negli occhi: è l’inizio di un dialogo che non si interromperà nonostante, e grazie a, quello che accadrà.

I due si voltano verso il pubblico. Lei, ferma, ci guarda: l’intensità dello sguardo agisce sui nostri corpi; lui viene verso di noi, camminando fin quasi al limite del palco e, guardandoci, ci porta nel suo spazio: nel suo corpo disarmato, rigato di sangue – sangue così importante nei lavori di Fabre – con perfetta verosimiglianza fin nei dettagli, fino agli angoli della bocca.

Dal corpo dell’uomo nasce tutto, (anche) l’arte, la poesia. «Incarniamo la poesia della resistenza/siamo i poeti della protesta/siamo i cavalieri della disperazione/della brigata teatrale»: inizia così La poésie de la résistance, interpretato da due prodigiosi artisti della Troubleyn/Jan Fabre company, Annabelle Chambon e Cédric Charron, ai quali Fabre ha dedicato il testo, o meglio il corpo poetico delle parole.  

Più di ogni altra, la parola poetica vive di ritmo, pause, respiro. Il corpo-voce di Chambon e di Charron sprigiona in modo strabiliante il battito delle parole di Fabre e, allo stesso modo, sa sospendere le parole nel silenzio, abbandonarle nel respiro.

Il corpo-voce di entrambi si muove sulla scena in pieno accordo – negli unisoni, negli assoli, nei controcanti, nelle distanze –, rispettando il «nous sommes» (il testo è recitato in francese) ripetuto in punti chiave per affermare insieme, in modo instancabile, l’essenza di una umanità resistente e tesa, direi ontologicamente, alla libertà nonostante tutto e tutti, nonostante i colpi, tanto reali quanto metaforici, che un’altra umanità spara contro i corpi dei «ribelli della bellezza/del reggimento dei Performer».

I nomi, la descrizione, la potenza delle armi, misure e caratteristiche dei proiettili vengono elencati da Chambon e Charron come una macabra litania. A ogni arma e alle rispettive munizioni d’eccellenza – dal popolare «44 Magnum» alla munizione «Parabellum 9mm», eco dell’immarcescibile «motto latino SI VIS PACEM, PARA BELLUM», alla svizzera «mitragliatrice MG 42», con ottime munizioni «usate da diversi eserciti della NATO» – è dedicato un ‘quadro’, concepito seguendo il principio della ripetizione: una scelta che da un lato rinvia a un principio rilevante nella teatralità di Fabre, dall’altro riflette la constatazione del tragico rinnovarsi della violenza, dell’insensatezza bellica, delle dittature, dell’orrore di morti violente.

Come re-agire? Come resistere?

Con ironia, a tratti amara a tratti irridente a tratti allusiva all’ironia di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore: Annabelle Chambon e Cédric Charron cercano così di rovesciare il trionfo di chi impugna un’arma «magnifica» o un’altra «sublime», eccitato dall’odore del sangue del nemico – poco importa che sia un soldato, un vecchio, un bambino, un poeta –. Ridicolizzano certe armi, presentandole come prodotti da squallide televendite; ironizzano sui propri corpi ridotti a brandelli dalla pioggia di fuoco.

Come re-agire, come resistere quando il suono di sirene antiaeree irrompe assordante in scena o si sente l’abbaiare rabbioso di cani?

Con le mani in alto, in segno di resa.

Questo gesto compiuto da Chambon e Charron si prolunga idealmente nelle braccia tese, con le mani che stringono un righello, della iconica scultura di Fabre The Man Who Measures The Clouds, ripresa più volte e con variazioni fino a The Man Who Measures His Own Planet (Mostra Songs of the Canaries, Songs of the Gypsies - Mucciaccia Gallery 2025), «omaggio alla vita e alla morte, all’anelito umano di andare oltre, di non arrendersi e continuare a tentare», «metafora dell’essere artista, che cerca di progettare l’impossibile» (Fabre, qui).   

A ogni resa seguono, ogni volta, altri colpi di altre armi. I corpi diventano allora prede di una macabra battuta di caccia. Nella scena che si tinge di rosso sangue – colore di cui si illuminano i palloncini –, i corpi scrivono danze di morte, danze di corpi in fuga spinti dal terrore, di corpi che cadono e si rialzano, che si ritraggono fingendosi invisibili.

Il corpo di Annabelle Chambon segue soprattutto il ritmo sincopato o martellante degli spari; il corpo di Cédric Charron contrappone spesso una ipnotica immobilità. Per entrambi la morte si rivela, ogni volta, apparente, perché ogni volta che «i partigiani della bellezza/della divisione Danza» vengono feriti, trovano dalla terra, dove il corpo crivellato si muove tra spasmi o si ferma, l’energia per resistere e il respiro per esistere ancora; perché, dice Annabelle Chambon, «scegliamo la via della speranza/scegliamo l’ideologia dell’amore».

Queste parole semplici e lapidarie vengono sostenute da un corpo-voce consapevole della radicalità e della condivisione della scelta e vengono sigillate da un gesto altrettanto semplice ed essenziale: un bacio in volo, da mano a mano, tra i due performer.

È questo uno dei tanti momenti dello spettacolo in cui i corpi-voci di Chambon e Charron mostrano una reciproca intonazione che definirei esemplare e che sa esprimersi ottimamente anche in relazione con la composita architettura del paesaggio sonoro, costruita con la musica del corno (Gustav Koenigs) – strumento da caccia e da guerra ma che restituisce anche atmosfere emotive diverse –, con gli spari, con l’abbaiare di cani, con il cinguettio di uccellini – canto simile a quello di poeti e artisti –, con le sirene, che spingono alla fuga tra terrore e silenzio (Cédric Charron) ma possono quasi non sentirsi più se il loro ‘canto’ viene usato per una danza irridente e sensuale (Annabelle Chambon).

Ne La poésie de la résistance il corpo, dei performer, della parola, dello spazio teatrale, dell’orizzonte sonoro, riconferma la centralità che ha nel molteplice lavoro di Fabre: La poésie de la résistance è un altro omaggio fatto al corpo, nella totalità, da parte di questo artista della consilienza.

In una simile cornice, il camminare a tentoni con gli occhi chiusi dei due performer colpiti a morte è una risposta alla morte che cancella ogni possibilità di visione. Ma ne La poésie de la résistance  «la morte non […] accecherà». E il cammino dei poeti-performer è destinato a non arrestarsi perché su ogni parte del corpo, sulle «piante dei […] piedi pensanti/sulle dita dei piedi danzanti», sui «talloni vulnerabili», sulle «articolazioni più complesse, le ginocchia», sulle «natiche attraenti e sensuali», sulle «labbra fragili e piene d’amore», sui «cervelli che controllano ogni sogno/e regolano ogni incubo», e sulle «anime che ci fanno danzare dopo la morte», «i guerrieri della bellezza/sempre fedeli/alla disobbedienza artistica e sovversiva» tatuano la parola liberté.

I due performer-poeti si liberano infine dei palloncini: il rumore dello scoppio si confonde con quello delle mitragliatrici fino a perdersi nel leggendario attacco di Heroes di David Bowie. Il corpo della parola LIBERTÉ si svela man mano sul corpo di Annabelle Chambon, celebrando una unione tenace e necessaria fra l’artista – nel senso più ampio – e la libertà, nel nome della creazione, del coraggio, dell’indignazione, della bellezza. Su musica e parole di speranza, amore e resistenza (Heroes), i due corpi danzano, in piedi (Chambron) e in ginocchio (Charron), un inedito pas de deux che libera energie dal buio del nostro tempo.

La poésie de la résistance è magnifico: per concezione, estetica e prassi performativa; per il valore artistico e politico che i ‘corpi pensanti’ di Annabelle Chambon e Cédric Charron hanno saputo portare in scena senza cedere mai a retorica e intenti didascalici; per l’energia propulsiva che sa irradiare.

La poésie de la résistance è canto e danza per la ‘libertà di una ricerca senza fine’.

È un passaggio del testimone nelle mani dei giovani. Una esortazione, a chi ha negli occhi la luce dell’alba, a creare, a indignarsi, a resistere, a erodere dittature e censure, a liberarsi dalla «barbarie tossica» che toglie il respiro a questi nostri giorni.

 

 

The Poetry of Resistance, Ph. Credits Alessandro Villa.

Ringraziamo il Teatro OutOff per aver messo a nostra disposizione il testo di Jan Fabre nella traduzione italiana, dal nederlandese, di Franco Paris.  

Nel testo, ‘libertà di una ricerca senza fine’ è anche allusione al contenuto del bell’articolo di Melania Rossi The Freedom of a Never-Ending Research, in Melania Rossi, Giovanna Caterina de Feo (ed.), Jan Fabre. Songs of the Canaries (A tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) Songs of the Gypsies (A tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre), Catalogo della Mostra (Roma, Mucciaccia Gallery 31 gennaio-3 maggio 2025), SilvanaEditoriale 2024, pp. 75-80.

Sono molti i libri su Jan Fabre e di Fabre e numerosi i saggi; ampia è la sitografia. Qui segnalo, insieme al sito ufficiale https://janfabre.be/, il recente libro pubblicato nella Collana FrancoAngeli Drama, diretta da Fabrizio Gifuni:

JAN FABRE, LUK VAN DEN DRIES, Dall’azione alla recitazione. Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo. Presentazione all’edizione italiana di Anna Bandettini, introduzione di Richard Schechner, postfazione di Mikhail Baryshnikov, FrancoAngeli, Milano 2023.

 La poésie de la résistance

Testo, concept, regia Jan Fabre
Con Annabelle Chambon e Cédric Charron
Drammaturgia Miet Martens
Improvvisazioni al corno Gustav Koenigs
Luci e progetto tecnico Wout Janssens
Spettacolo in francese, con sopratitoli in italiano (traduzione di Franco Paris)

Prima mondiale

Teatro OutOff, Milano - 3, 4, 8 ottobre